di Gaia Corradino
Si fa in fretta a gridare allo scandalo quando un fatto tanto delicato, come quello di una violenza sessuale, arriva alle orecchie di tutti in forma minimizzata.
Soprattutto se le parole provengono da una figura pubblica, la risonanza sulla comunità è a dir poco colossale.
Eppure non è la prima volta che succede.
Persone di qualsiasi provenienza geografica, di ogni status sociale e di qualunque appartenenza di genere si alleano in modo indissolubile, come un enorme scudo, di fronte a notizie che toccano il mancato rispetto in qualunque forma verso le donne.
Ciò rende forti, perché si fa valere la propria voce, si è arrabbiati e si vuole abbattere uno stereotipo dalle radici troppo retrograde.
Se si pensa, però, si è anche un po’ stufi.
Ad ogni scudo contro il victim blaming o il body shaming, e contro ogni altra forma di discriminazione e di odio contro le donne, ci si rende conto che la luce in fondo al tunnel per annullare del tutto questo mostro di stereotipo è ancora ben lontana.
L’importanza delle parole
È ben noto a tutti il video in questi giorni del leader politico Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro, di 19 anni, che assieme ad altri 3 suoi amici si sarebbe divertito con una ragazza mentre si trovavano in Costa Smeralda nell’estate del 2019.
La stessa ha però poi denunciato i quattro ragazzi per violenza di gruppo.
La questione è ritornata a farsi sentire dopo due anni, a inchiesta ancora aperta, con lo sfogo di Grillo che ha destato non poche polemiche.
La sua posizione è molto chiara e le parole sono molto dure, ma si può – e si deve, in quanto professionisti – tentare di mantenere la mente lucida e analizzarne il contesto.
Mio figlio è su tutti i giornali come uno stupratore seriale insieme ad altri tre ragazzi. Io voglio chiedere, voglio una spiegazione perché un gruppo di “stupratori seriali”, compreso mio figlio dentro, non sono stati arrestati. Perché non li avete arrestati? La legge dice che gli stupratori vengono arrestati e messi in galera e interrogati in galera o ai domiciliari.
Invece sono lasciati liberi per due anni, perché? Perché non li avete arrestati subito?! Ce li avrei portai io in galera, a calci nel c**o! Perché?! Perché vi siete resi conto che non è vero niente che c’è stato uno stupro, non c’entrano niente! Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio che va in kitesurf e dopo 8 giorni fa la denuncia vi è sembrato strano! Bene, vi è sembrato strano! È strano. E poi non c’è un avvocato che parla o sono io il padre che parla e difendo mio figlio, c’è il video. C’è un video! C’è tutto il video, passaggio per passaggio! E si vede che c’è la consensualità! Si vede che c’è il gruppo che ride, che sono ragazzi di 19 anni, che si stanno divertendo, che sono in mutande! Che sono in mutande e saltellano col p*****o così perché sono 4 c******i e non 4 stupratori! E io sono stufo che sono due anni! E se dovete arrestare mio figlio perché non ha fatto niente, allora arrestate anche me perché ci vado io in galera!
Nel video, mezzo preferito di tutti i suoi sfoghi politici e non, Grillo parte subito molto alterato e lo si denota anche dalla comunicazione paraverbale.
Egli è avvezzo ai modi simil teatrali con cui attirare l’attenzione del pubblico per convincerlo delle sue argomentazioni.
Due cose, però, sono certe: urlare non convince e qui non c’è nessun palcoscenico.
Agire con fare maschilista a mo’ di patriarca non è un’emozione che prende il sopravvento bensì un atteggiamento predisposto a stereotipi consolidati.
Tuttavia, le questioni più gravi che emergono da questo video sono ben altre, in confronto a urla e pugni sul tavolo.
Innanzitutto, ha negato ogni accusa sul figlio e sui ragazzi, perché loro “si divertivano” e ha delegittimato la vittima perché “ha denunciato dopo 8 giorni”.
Inoltre, l’essere un uomo noto l’ha autorizzato a puntare il dito contro gli organi di giustizia, che secondo lui avrebbero dovuto accelerare sull’arresto se fosse stato davvero uno stupro.
Per ultimo, ma non meno importante, quest’uomo ha concluso invertendo perfino la posizione di vittima, dichiarando a gran voce che la sofferenza della famiglia si protrae da due anni.
Non vale la scusa dell’età, che essendo un uomo ultra settantenne è giustificato dalla vecchia mentalità.
Il processo non è ancora stato avviato, perciò il figlio e i suoi amici non sono colpevoli finché non saranno di fronte a un giudice, ma le affermazioni di questo personaggio non godono certo di buone premesse.
Morale: è colpa della ragazza in quanto donna se tutto ciò è accaduto.
Se non fosse stato per lei e per le sue tempistiche, le cose sarebbero andate in una direzione diversa.
La ragazza non ha credibilità sullo stupro, in sostanza è una bugiarda.
Alla lista dei colpevoli bisogna aggiungervi la giustizia, incapace di attivarsi nelle sue competenze, forse per creare di proposito un clima d’odio contro la famiglia Grillo.
La notorietà per veicolare i messaggi sbagliati
Beppe Grillo, con la sua invettiva di 2 minuti, ha voluto dare ulteriore conferma degli stereotipi da sempre legati intorno alla figura della donna (non è infatti nuovo negli attacchi sessisti).
Il reale problema è il voler insegnare alle ragazze come evitare una violenza anziché educare i ragazzi al rispetto reciproco dei valori più basici e a fermarsi davanti ai “no”, avvalorando la cultura dello stupro.
C’è qualcosa di sbagliato nel passaggio di questi messaggi come esempi per la comunità attraverso i conduttori diretti, quali canali sociali e televisivi, da tutti raggiungibili e in particolare dai più giovani.
Ancora più sbagliato, oltre che indecente, è ridicolizzare il concetto di abuso e le persone coinvolte o spettacolarizzare tutto ciò in uno strategico scontro politico da salotto.
Come ha fatto Grillo di fronte alla sua telecamera: non ha parlato da padre disperato preso dal sopravvento delle emozioni bensì da personaggio politico pubblico che usa tutti gli strumenti in suo possesso per alimentarsi la visibilità mediatica e favorire un probabile processo giudiziario.
Di fronte a questi fatti diventa sempre più urgente la necessità di una tabula rasa di questa mentalità, una rieducazione completa (sia dei principi e dell’etica morale sia dell’uso di internet) e uno sradicamento di stereotipi e pregiudizi.
No, non è vero che esiste la parità di genere.
Sì, siamo nel 2021 eppure la strada per la tanto agognata uguaglianza tra uomo e donna è ancora all’inizio.
#IlGiornoDopo
Tanta attenzione è stata rivolta al video che si è quasi perso di vista la ragazza coinvolta, ora più vittima, sia della violenza sia della gogna mediatica che le si è ritorta contro.
Molti personaggi di spicco e non hanno però risposto in suo sostegno.
Sui social, ad esempio, è subito partito l’hashtag #ilgiornodopo avviato da Eva Dal Canto, per restare dalla parte delle persone vittime di violenza e dimostrare che gli stupri non hanno una data di scadenza.
La denuncia è solo una tappa di un lungo percorso fatto di coraggio e consapevolezza.
Qui non vengono riportati il dolore e la vergogna che le persone umiliate, e spesso sole, si trovano loro malgrado ad affrontare.
Questa campagna vuole andare contro Beppe Grillo, non per aver difeso il figlio anzi per aver difeso la violenza.
È giusto ricordare che a favore della tutela delle persone vittime di violenza c’è il Codice Rosso, una legge aggiornata nel 2019.
Una tra le importanti modifiche apportate è che la vittima può denunciare entro un anno dall’abuso subito e non più entro 6 mesi, come previsto in precedenza.
Inoltre, è sempre attivo il numero di emergenza antiviolenza e stalking 1522.