di Marta Gabucci
«Ci rendiamo conto che nel 2021 succeda ancora, di frequente, il fenomeno del catcalling? Sono l’unica che ne è vittima costantemente, che appena metto una gonna, o come questo caso, mi tolgo la giacca sportiva perché fa caldo, io debba sentire i fischi, i commenti sessisti, le schifezze. A me fa schifo».
In questi giorni, sul web, si è spesso sentito parlare di catcalling, a causa di una spiacevole esperienza di Aurora Ramazzotti. Utilizzando la definizione dell’Accademia della Crusca, il catcalling altro non è che una molestia sessuale, prevalentemente verbale, che avviene in strada. Non sono solo le donne ad essere vittime di tali commenti o azioni, anche se si rivelano essere i soggetti prediletti. Sono vittime anche persone omosessuali o transessuali. Ciò comporta il fatto che si tratta, senza ombra di dubbio, di violenza di genere.
Questo fenomeno però, non viene sempre compreso e anzi, viene spesso sminuito, non comprendendo la gravità e la difficoltà che causa alle vittime.
«Il catcalling?! Per due fischi! Io non so dove andremo a finire!» oppure ancora «Se qualcuno ti disturba, ti viene là e ti tocca, son d’accordo. Ma se qualcuno ti fischia e ti dice “bella”, dì grazie!»
Come ben spiegato da Carlotta Vagnoli, autrice ed attivista che si occupa della lotta per i diritti delle donne contro la violenza di genere, «per catcalling si intende una gamma di comportamenti fisici e verbali che stanno alla base della piramide della cultura dello stupro. Siamo nella sfera della molestia, non in quella del complimento». Carlotta Vagnoli continua spiegando che «alla base di questo comportamento culturale c’è la stereotipizzazione di genere, che vuole che un genere -ovvero quello maschile- sia ritenuto superiore agli altri generi. Perciò quando c’è una manifestazione di questo tipo, non stiamo cercando di lusingare una donna ma stiamo cercando di ristabilire di nuovo delle dinamiche di potere, che vanno ad accrescere quella mascolinità performativa, che porta spesso gli uomini, anche in gruppo, a fare questa cosa alle persone che passano per strada, facendola passare per un normale procedimento in cui si manifestano i complimenti».
«È molto limitante continuare a pensare che siano dei complimenti. È una cosa che ci è stata inculcata e spesso anche le donne dicono “si però cosa vuoi che sia, sono solo complimenti”» continua Vagnoli, nelle stories pubblicate nella sera del 31 marzo 2021.
Infatti, risulta purtroppo semplice imbattersi in donne che banalizzano l’atto del catcalling, andando così a enfatizzarlo: «se qualcuno ti fa due fischi, ringrazia, senza fare tutte queste sceneggiate».
Nel 2020, si è parlato della ricerca su larga scala condotta dal gruppo Hollaback! assieme alla Cornell University riguardo alle molestie da strada. È stato qui rivelato che la maggior parte delle donne è stata vittima per la prima volta in pubertà. In Italia, il 79% delle donne intervistate ha ammesso di essere stata vittima prima dei 17 anni, il 57% prima dei 15 anni ed il 9% prima dei 10. Più dell’88% delle donne italiane ha dichiarato di aver cambiato strada proprio a causa delle molestie ed il 69% è stata seguita da uno o più uomini che l’hanno così fatta sentire non al sicuro. Queste azioni causano forti emozioni nelle vittime, quali ansia ma anche rabbia e, soprattutto, paura.
In Inghilterra, il caso di Sarah Everard ha portato in luce i racconti di molte donne che sono state vittime di molestie da strada. Maya Tutton e sua sorella Gemma, hanno fondato Our Streets Now, una campagna che ha l’intento di rendere le molestie per strada un reato penale. Nell’articolo “Catcalling: The sisters who are making a noise to stop street harassment of women” della BBC, le due sorelle raccontano le proprie esperienze. Maya racconta:
«Ricordo un particolare incidente quando avevo 14 anni e diversi uomini si sono fermati accanto a me con due amici ed hanno fatto alcuni dei commenti più sessualmente minacciosi che avessi mai sentito in vita mia. Ricordo di aver avuto tanta paura e di non essermi più sentita allo stesso modo negli spazi pubblici».
L’esperienza di sua sorella Gemma è stata la spinta di partenza per questa campagna. «All’età di 11 anni era fuori in un giorno d’estate e un uomo si è fermato e ha urlato orribili commenti sessuali sul suo corpo e le sue gambe e lei è tornata da me e me ne ha parlato. Ho dovuto spiegarle innanzitutto che questa era diventata una parte normale dell’essere una ragazza. Che era in qualche modo irrilevante e che questo probabilmente non sarebbe stato l’unico incidente. E per di più, non sarebbe stato l’incidente peggiore».
Il problema del catcalling non può più essere sottovalutato, non può più essere interpretato come un’intenzione di ingigantire la situazione “per due fischi”.