di Gaia Corradino
Ricorre ufficialmente dal 1999 la decisione di pattuire il 25 novembre come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ogni anno si ricordano numeri e dati di femminicidi e di ogni genere di violenza subita dalle donne, a dimostrazione che questo problema culturale di odio e di discriminazione è ancora piuttosto radicato, nonostante gli impegni quotidiani, tutti gli sportelli, le associazioni e le campagne di sensibilizzazione dedicate al fine di debellarlo.
Anche tra i meandri del web si insinua il pericolo e da dietro uno schermo è nata una cultura dettata da un odio profondo: tanti sono i leoni da tastiera che vi si nascondono, per sentenziare gratuitamente ogni tipo di giudizio a fronte di atteggiamenti, comportamenti e desideri delle donne, con il solo scopo di deriderle.
Si sono creati dei veri e propri fenomeni e status sociali, che sono ben evidenti e all’ordine del giorno. Questi vengono individuati con svariati termini di origine anglosassone, le cui pratiche sono ormai diffuse a macchia d’olio in tutto il mondo.
Il body shaming è focalizzato soprattutto all’estetica, è di fatto l’atto di derisione del corpo di qualcuno e si realizza attraverso commenti critici palesemente pesanti e volgari sull’aspetto fisico. È molto diffuso sul web perché chi li scrive si sente protetto, sotto falso nome o addirittura da commenti simili pronunciati da altri, creando così una catena infinita di riciclaggio di frasi e parole tra gli utenti.
Tra chi esercita questo fenomeno non è insolito trovarvisi anche le donne; solitamente sono persone insoddisfatte del proprio aspetto fisico, che riversano le loro frustrazioni in denigrazioni contro quelle ragazze che presenterebbero un canone di bellezza del corpo perfetto e socialmente accettabile.
Al contrario, come succede molto spesso a persone note al pubblico – dalle attrici alle modelle alle influencers –, gli attacchi arrivano per segnalare anche le più piccole imperfezioni che stonerebbero con quell’idea di perfezionismo estetico.
Il victim blaming è l’atto di colpevolizzazione della vittima, ovvero un atteggiamento che consiste nel ritenere una persona offesa responsabile di un fatto criminoso, con la conseguenza psicologica sulla vittima di auto-colpevolizzarsi subendo, dunque, una seconda aggressione. Questo succede quando spesso si leggono articoli di cronaca nera che fanno intendere un femminicidio giustificato da un atto di corresponsabilità da parte della donna per svariati motivi (ad esempio il modo di vestirsi non ritenuto sobrio).
Il revenge porn è l’atto di vendetta porno molto diffuso su internet; consiste nella condivisione pubblica di immagini e/o video intimi personali, senza il consenso dei soggetti ripresi, per la maggior parte a causa dei partner. È accaduto un fatto, qualche mese fa, in cui venivano denunciati sui social decine e decine di gruppi su Telegram creati con il solo obiettivo di diffondere materiale di terzi, rubato o sottratto a loro in modo illecito.
È molto facile che in questa piattaforma si spopolino chat di questo genere in forma privata, in quanto povera di policy ben precise riguardo i contenuti che vengono pubblicati e perciò i membri di tali gruppi sono difficilmente punibili. Qualora le autorità riuscissero a bloccare i canali incriminanti, purtroppo la faccenda non si fermerebbe: chi diffondeva tali contenuti illeciti continuerà a farlo creando nuove chat.
Al di fuori della Rete, non sono poche le ragazze che si sono trovate a togliersi la vita a causa di azioni simili, per mano di amici o fidanzati di cui si fidavano, poiché sentite pubblicamente offese e ridicolizzate.
Lo slut-shaming è l’atto di far sentire colpevole o inferiore una donna, per determinati comportamenti o desideri. Un classico esempio sono le critiche sul modo di vestire o le accuse di trasgredire i codici di condotta, qualora non rispetterebbero le aspettative tradizionalmente puritane definite dalla comunità di ideologia maschilista.
Questo fenomeno si collega al victim blaming: laddove si attribuisce alla donna già offesa anche la colpa delle azioni da parte dell’uomo perché vestita in modo tale da “essersela cercata”.
Incel è il neologismo con cui si identificano coloro che hanno ferma convinzione della condizione di donna, in quanto inferiore e oggetto puramente sessuale. Si fanno chiamare “involontariamente celibi” e sono uomini e ragazzi infelici dal corso della loro vita e incapaci di costruire relazioni interpersonali a causa, a detta loro, dei comportamenti scorretti delle donne.
Sono definiti gli haters delle donne, individui pericolosi, poiché il loro profondo astio e razzismo discriminatorio fortemente radicato possono sfociare in gesti estremi. Gli incel sono persone dal carattere perlopiù introverso e con un indice di insicurezza molto elevato, basata sulla percezione di non riuscire ad intrecciare un rapporto con una partner e dunque, di riflesso, li spinge ad un vittimismo patriarcale estremo.
Nonostante la giustizia italiana si stia muovendo per far valere e tutelare i diritti delle donne, la strada per azzerare queste ideologie distorte e raggiungere finalmente la parità di genere è ancora lunga. Soltanto una buona istruzione all’uso moderato e responsabile di internet e al corretto uso di un linguaggio di genere – accompagnati da un’educazione di etica e di morale – possono fare la differenza.
La violenza si esprime in diverse forme, ma ha un’unica faccia: quella del male. Uno schiaffo ha lo stesso peso di una minaccia verbale, e nessun atto violento dovrebbe essere giustificato in alcun modo, dentro e fuori la Rete. Mai e per nessuno.