di Marta Gabucci
Martedì 10 novembre, Progettomondo.mlal ha promosso sui suoi canali social, un webinair sulla ricerca nell’ambito di global education sul tema dell’immigrazione. Il campione preso in esame, come poi spiegato da Nicola Rainisio, ricercatore dell’Università di Milano, ritrae la percezione di un pubblico compreso tra i 16 e i 24 anni sul territorio europeo.
Il webinair, definito con le parole di Gianni Cappellotto, coordinatore dei progetti di sensibilizzazione ed educazione in Italia, si presenta come una ricerca per poter comprendere come i temi globali vengano approcciati nell’ambito scolastico.
Rainisio spiega come la ricerca sociale sia sempre leggermente indietro rispetto alla rappresentazione sociale, che è sempre invece molto rapida. L’agenda comunicativa a livello italiano è sempre stata fortemente interessata al tema dell’immigrazione; oggigiorno siamo testimoni di continui tentativi che cercano di recuperare modelli comunicativi negativi in questo ambito. Il ricercatore continua facendo notare come siamo sempre più propensi ad accomunare la figura del rifugiato a quella dell’untore, specialmente nella prima ondata di pandemia globale vissuta nel mese di marzo. Questo secondo periodo di crisi sanitaria, porta ad un nuovo concetto di ingroup e outgroup, dove il primo viene rappresentato dal soggetto italiano che viene tenuto chiuso, a scopo preventivo, mentre l’outgroup rappresenta il migrante che, nella percezione, viene lasciato libero di muoversi. Rainisio spiega come questa non sia una nuova rappresentazione ma che è nuova invece l’intensità e lo sfasamento del dato realtà rispetto a quello rappresentativo.
Oltretutto, la ricerca riporta il fatto che la percezione dei paesi latini e mediterranei è nettamente superiore, «quasi il doppio» specifica Rainisio, rispetto ad altri paesi come la Germania e i Paesi Bassi. È stato provato come la contrarietà sia più forte quando la differenziazione si basa su particolari fisiognomici: si tende cioè, ad allontanare soggetti etnicamente diversi, rispetto agli stranieri che vediamo, anche fisionomicamente parlando, più affini a noi. Il valore sul territorio italiano -superando anche l’Austria, riconosciuto come Paese con un alto grado di contrarietà- rappresenta il valore più alto, evidenzia il ricercatore.
La ricerca continua sottolineando come la percezione italiana si trovi costantemente tra i valori più negativi, indice della diversità tra percezione e realtà.
«Gli elementi di negatività dell’immigrazione sono molto intensi sul territorio italiano» spiega Rainisio.
Molto interessante la conclusione del ricercatore, che evidenzia come la percezione italiana pensi al soggetto migrante come individuo principalmente di sesso maschile, quando in realtà è l’esatto opposto. Il distacco risulta anche sull’argomento “provenienza”: si crede infatti che la maggior parte dei migranti parta dall’Africa, quando la realtà è che si tratta principalmente di migrazioni da paesi europei.
La parola passa a Stefano Pratesi, formatore esperto in gestione dei conflitti e migrazioni.
Pratesi evidenzia come le fake news rappresentino un modo veloce per diffondere paura e disgusto. Spiega come la produzione più cospicua di fake news, non nasca da gruppi o associazioni politiche che hanno la volontà di immetterle, ma bensì da «un sistema culturale fortemente stereotipato di denigrazione dell’altro»: infatti questa diventa una produzione di hate speech che non ha una reale volontà di manipolare una situazione politica o di supportare un’idea sociale.
Pratesi spiega come la caratteristica che accomuna tutte le fake news è quella dello “speak easy” ovvero parlare semplici: tutte le fake news sui migranti hanno una comunicazione molto semplice e girano sempre sui soliti temi: il migrante ruba, porta malattia e toglie il lavoro. In ogni notizia mancano sempre i dati; questo accade perché il “parlare semplice” fa sì che non ci sia da pensarci sopra ma si reagisca solo emozionalmente e si tratta sempre di emozioni negative.
In conclusione, come spiega Pratesi, «il vero problema di base, è la cultura su cui si inserisce». È quindi importante agire fin dagli albori, lavorare con i giovani e far sì che la percezione generale si avvicini sempre più alla realtà: solo così riusciremmo a debellare l’odio.
Per chi fosse interessato a recuperare il webinair, i video si possono ritrovare qui.