di Marta Gabucci
«Accogliamo i clandestini e uccidiamo i cinghiali», queste le parole utilizzate dal quotidiano “Libero”, diretto da Pietro Senaldi, per la prima pagina dell’11 ottobre.
Una scelta lessicale che non può essere fraintesa e che sceglie di creare un accostamento tra esseri umani e cinghiali.
Il testo continua senza utilizzare dei veri parallelismi ma è chiaro che l’intento sia quello di spingere il lettore a prendere una posizione ben precisa, utilizzando termini cruenti e crudeli.
Si tratta, per “Libero”, di un modus operandi cui sono soliti ripiegare negli articoli che riguardano i migranti e che dimentica le basi dell’etica professionale e delle carte deontologiche.
Le parole hanno da sempre un peso importante e questo ha portato l’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) e l’Associazione Carta di Roma a richiedere, con un appello rivolto alle redazioni di informazione, di non dare più spazio a titoli disumanizzanti ed evitare l’utilizzo di prime pagine che violino l’etica giornalistica, preferendo quindi titoli “accattivanti” alla ricerca della verità sostanziale dei fatti; l’appello riporta le firme del presidente di Carta di Roma, Valerio Cataldi e di Triantafillos Loukarelis, direttore dell’Unar.
L’accostamento fra migranti e mondo animale non è, purtroppo, una novità nel giornalismo e nella comunicazione: è una scelta ormai consueta per alcuni.
Quotidiani del calibro di “Libero” e il “Giornale”, nei mesi estivi, avevano pubblicato una serie di titoli che marchiavano i migranti come «mangiatori di cani».
Ad inizio pandemia, il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, menzionò i cittadini cinesi additandoli quali mangiatori di topi e la maggior parte dei media ripresero tale espressione senza poi cercare una spiegazione plausibile a una «battuta di cattivo gusto» facendola quasi passare per verità.
A febbraio, riferendosi ad un titolo del quotidiano di “Repubblica” del 3 settembre del 2018, i giudici della Corte d’appello di Milano si sono espressi sull’utilizzo del termine “clandestino” poiché ci si è resi conto che «è discriminatorio nel caso in cui ci si riferisca a delle persone che hanno fatto richiesta di protezione umanitaria».
Un tema molto importante che questo appello ha evidenziato è sicuramente la possibile risonanza mediatica che un titolo di questo genere può avere sul pubblico lettore.
«La sicurezza nelle aree rurali ed urbane è in pericolo per il loro proliferare con l’invasione di campi coltivati e centri abitati dove spesso razzolano tra i rifiuti con evidenti rischi di carattere sanitario per la diffusione di malattie come la peste suina», così continua il testo della prima pagina di “Libero”.
L’appello richiama l’attenzione su diversi livelli della comunicazione mass-mediatica: le parole scelte saranno lette, recepite e sentite dal pubblico e da questo, apprese e probabilmente accettate. Come evidenziato dai firmatari, «si tratta di un’operazione che svela la cattiva coscienza di chi l’ha escogitata […]. Quel titolo verrà letto da una platea ben più ampia dei lettori del giornale stesso». La scelta dei termini utilizzati (“clandestini” e “cinghiali”) ha, perciò, un peso specifico importante.
La richiesta si conclude con le parole di Valerio Cataldi e di Triantafillos Loukarelis evidenziando che «c’è un limite entro il quale non è consentito andare. Questo limite oggi è stato superato».
Foto di copertina by Марьян Блан | @marjanblan from Unsplash