
di Cristina Martini
Non è “colpa del web” ma di come le nuove tecnologie vengono utilizzate e con quale linguaggio. In occasione del 7 febbraio, Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo, è stato pubblicato il report “Spett-ATTORI del web” di DoxaKids per l’associazione Telefono Azzurro. Un’indagine che approfondisce tematiche quali la sessualità online, la ricerca delle informazioni e la violenza in rete, con un occhio attento sul fenomeno del cyberbullismo, che colpisce i/le più giovani.
Due dati di interesse emergono dalla ricerca: il 31% dei bambini e bambine coinvolti ha indicato la possibilità di subire cyberbullismo ed un bambino su sette quella di “leggere contenuti offensivi e di incitamento all’odio”. Numeri che si ripetono anche sui soggetti anagraficamente più grandi, ma che parlano di una preoccupante “anestetizzazione” riguardo i linguaggi volgari spesso utilizzati negli ambienti digitali, considerati perlopiù normali. Hate speech e cyberbullismo iniziano anche a riempire le prime pagine dei giornali, segnale di un problema sociale e culturale che ha bisogno di essere affrontato.
Le preoccupazioni che si raccolgono in ambiente scolastico sono soprattutto degli adulti: mentre per il fenomeno del bullismo – che per la maggior parte si verifica tra le mura delle scuole – sembrano essere preparati almeno in parte, il cyberbullismo rimane un’incognita. In An investigation into cyberbulling, its forms, awareness and impact, and the relationship between age and gender in cyberbullying, Smith e altri, tracciano il fenomeno come “aggressione intenzionalmente svolta da uno o più individui, utilizzando forme elettroniche di contatto, e ripetutamente mirata verso una persona che non può difendersi”.
La definizione mette in evidenza cinque aspetti fondamentali: il comportamento aggressivo messo in atto con volontà, l’attore singolo o multiplo, le nuove tecnologie, la dimensione della vittima e la reiterazione della condotta. Il cyberbullismo non ha luogo fisico perché vive nel virtuale, viaggia attraverso la rete Internet e la telefonia (spesso quando se ne parla vengono dimenticati gli sms e le chiamate telefoniche) ed ha un impatto molto più elevato rispetto a quello del bullismo, complice l’ampia diffusione garantita dal digitale e dalla viralità, raggiungendo anche utenti estranei alla vittima e al colpevole. Nel cyberbullismo compare un elemento però che è difficile da gestire: il cosiddetto “disimpegno morale”, ossia la percezione – apparente – di anonimato con cui si agisce attraverso la mediazione della tecnologia.
Il rispetto dell’altro e la prevenzione di questi fenomeni passa anche dalla consapevolezza, dall’uso corretto dei canali e dei linguaggi, dall’empatia. Dalla capacità quindi di mettersi nei panni dell’altro, che deve andare di pari passo con l’informazione sui rischi che comportano le azioni scorrette anche se svolte nel mondo virtuale. I percorsi scolastici svolti con esperti ed esperte sono utili per coinvolgere studenti e studentesse in un processo di apprendimento che aiuti le vittime e i/le cyberbulli/e – trasversalmente per genere – ad andare oltre i comportamenti violenti.