Gli attacchi terroristici di Bruxelles, con bombe alla metropolitana e all’aeroporto Zaventem, hanno portato i media italiani a dare una rappresentazione prevedibile degli esiti del terrorismo islamista: la cronaca degli eventi, con luoghi e informazioni; il ritratto delle vittime; il profilo dei sospetti attentatori; il tema dell’attacco all’Europa e ai valori occidentali, questi ultimi evocati dai commentatori.
Tutti i maggiori media – nei primi tre giorni di cronache e analisi degli attentati – si sono fermati soprattutto al “primo livello” del terrorismo; con qualche puntata al “secondo livello”. Il primo livello è quello dei killer di massa, i terroristi-kamikaze di cui sono state in fretta diffuse le foto; il secondo livello è quello dei fiancheggiatori e degli addetti alla logistica, figure indispensabili senza le quali un attentato non si realizza.
I mandanti degli attentati di Bruxelles, come avvenne del resto a Parigi lo scorso novembre, sono stati chiamati in causa con il solo riferimento all’Isis. Ora, puntare il dito contro l’Isis quale mandante degli attentati è giusto e corretto, ma non porta a capire come il terrorismo si muova, di quali complicità goda. E, di conseguenza, come lo si possa sconfiggere. La stampa, insomma, nei giorni di maggiore attenzione mediatica, non mostra di avere tematizzato le ragioni profonde del terrorismo.
Parlando del terrorismo islamista che ha colpito a Bruxelles, molti media italiani hanno fatto riferimento alle periferie della capitale dell’Unione Europea: “periferie inquiete”, abitate da giovani di religione islamica, dove disoccupazione ed estremismo (quando non il fondamentalismo islamista) si mescolerebbero in una miscela pericolosa. Il riferimento alle periferie e ai “foreign fighters” filo-Isis fa il paio, insomma, con la “personalizzazione” del fenomeno terroristico.
I media, per dare efficacia al proprio lavoro informativo, tendono a personalizzare gli eventi. Rifuggono dalle astrazioni. Puntano a dare un volto, una biografia, uno spessore personale ai protagonisti delle vicende, anche quelle criminali e terroristiche. Criminalizzano il sospettato di un delitto, ad esempio. Presentano, loro malgrado, come “titani” impossibili da sconfiggere i terroristi assassini che attentano alla libertà, alla convivenza pacifica, alla comunità dei cittadini.
Pochissimo spazio ha avuto Oliver Roy, orientalista e politologo francese, che sul “Corriere della sera” ha spiegato come i terroristi islamisti che hanno colpito a Bruxelles, come a Parigi, non abbiano quasi nulla di religioso. Come si tratti di delinquenti, che in nulla credono se non nelle azioni criminali: “Tutti vengono dalla criminalità comune. Sino a pochi mesi fa non praticavano la loro religione”, afferma Roy, smentendo in questo modo l’idea e la paura di un esercito di combattenti dell’Islam impegnati ad abbattere la civiltà occidentale.
Ignorare le analisi degli studiosi è una pratica comune nella stampa italiana, come dimostrano le ricerche su “media e immigrazione”, condotte da ProsMedia. In compenso, si dà spazio – con una intervista del “Corriere della Sera” all’ex premier inglese Tony Blair – a chi agita lo scontro di civiltà e sottolinea la “debolezza dell’Occidente”. Blair, non a caso, tace il fatto che “amici” delle élites (non dei cittadini comuni) dell’Occidente finanziano e armano i terroristi; che il terrorismo si sviluppa anche grazie a situazioni di ingiustizia sociale ed economica create proprio da quelle élites; che le classi dirigenti (le solite élites) poco fanno per intervenire sulle ragioni vere del terrorismo, mandanti compresi.
foto da: Lapresse.it