Per un giorno i rifugiati hanno curato l’edizione del Dagbladet Information, un quotidiano danese progressista. L’obiettivo era quello di presentare un’immagine radicalmente diversa delle migliaia di richiedenti asilo che bussano alla porta dell’Europa. Il giornale ha messo insieme una dozzina di rifugiati, per lo più professionisti del settore e che spesso hanno avuto seri problemi nel praticare la propria professione nel proprio Paese di origine, la maggior parte dei quali sono arrivati da poco in Danimarca, affidandogli il controllo della scelta editoriale, fornendo sostegno per le ricerche e la traduzione.
Le 48 pagine della piccola testata con una tiratura di circa ventimila copie hanno attraversato diversi temi: le politiche sull’immigrazione del Paese, di come la migrazione verso l’Europa sia così fortemente maschile, la “lotteria” dei nuovi arrivati nei campi profughi danesi, lo smantellamento di tre miti sui rifugiati e sulle devastazioni in Siria per mano dei jihadisti dello Stato islamico. Dagbladet Information, una piccola, è nata come organo della resistenza clandestina danese durante la Seconda guerra mondiale, ed è un punto di riferimento per i movimenti sociali.
La voce dei rifugiati è stata assente dalla stampa, ma questa non è certo una novità, non solo in Danimarca. Di sicuro la scelta di questa redazione è in linea con le buone prassi per un buon giornalismo interculturale. Nel libro Comunicazione e giornalismo interculturale (Cedam, 2004), l’autore ed esperto dei media Maurizio Corte evidenzia l’impegno di questo giornalismo buono – e non buonista – “a valorizzare la presenza immigrata come risorsa per la società di accoglienza, favorendo la conoscenza, l’accettazione reciproca, l’integrazione e lo scambio fra culture diverse: obiettivi raggiungibili se si seguono i principi fondanti e le indicazioni della Pedagogia interculturale; se si acquisisce un nuovo atteggiamento culturale basato sul rispetto, sull’accoglienza, sul dialogo. Non dobbiamo dimenticare, poi, che in mass media aperti all’intercultura i cittadini di origine straniera possono trovare una forma positiva di rispecchiamento; una ragione in più per amare la nuova Patria dove vivono, per sentirsene parte attiva e costruttiva”.