Com’è possibile che a una donna colta, avvocata, indipendente, possa succedere una cosa simile? Sono vicende che succedono più al Sud che al Nord? Sei riuscita a perdonarlo? Quesiti semplici che tante donne giovani e adulte hanno fatto a Lucia Annibali, intervenuta lo scorso 21 maggio durante un incontro con le scuole superiori di San Bonifacio, in provincia di Verona, organizzato da Anna Giovannoni, presidente della locale commissione Pari opportunità. Quesiti che senza volerlo veicolano pregiudizi dettati da stereotipi molto diffusi: la violenza di genere riguarda ceti sociali medio-bassi, è più presente nel Meridione per il temperamento possessivo degli uomini, e considerare naturale il perdono della vittima nei confronti di un atto definito dai media “frutto di raptus”. Le relatrici al fianco di Annibali smentiscono in tronco tutti questi luoghi comuni: Luciana Giurolo dell’associazione di volontariato vicentina Donna Chiama Donna, impegnata sul campo da anni come le assistenti sociali Barbara Trestin e Antonia Graziano, del consultorio ulss 20 di cui fa parte San Bonifacio, e Cristina Martini, ricercatrice di ProsMedia, che ha presentato la sua ricerca su stereotipi e pregiudizi veicolati dai media nei casi di femmicidio e violenza di genere.
Luoghi comuni ancor più sgretolati dalla storia di Lucia Annibali. Avvocata di 37 anni, è sopravvissuta all’atto vigliacco per mano del sicario incaricato da Luca Varani, ex compagno di Annibali, che l’ha colpita con l’acido solforico quando la donna stava rientrando a casa dopo la palestra. Da quel giorno per Lucia cambia ogni cosa. Lei stessa scrive nel suo libro Io ci sono – La mia storia di non amore, scritto con Giusi Fasano, «Quando la mia pelle ha cominciato a sciogliersi, un minuto dopo la belva era ammaestrata. Una liberazione, in un certo senso». Il dolore, la paura di perdere la vista, l’accettazione della sua nuova immagine, le tante operazioni – fino a qui 13 ma ce ne saranno ancora – non l’hanno fermata, le hanno dato linfa vitale. Le settimane passate subito dopo l’agguato nel Centro Grandi ustionati di Parma sono state un momento, oltre che di svolta, anche di riflessione sulla sua vita precedente. Come se quel 16 aprile si fosse tramutato per Lucia nel suo Anno zero: prima tante insicurezze, un rapporto sentimentale opaco, poche soddisfazioni. E poi tutto cambia. L’acido le ha modificato non solo l’aspetto ma anche la motivazione alla vita. Come dice lei «ho il naso fino – anche se un po’ storto e ancora da sistemare – per quel che riguarda le persone, so valutarle molto meglio ora rispetto ad un tempo».
Oggi Lucia non rappresenta una vittima di violenza di genere. Oggi Lucia è una donna impegnata nelle scuole e per una cittadinanza attiva, esprime bellezza, oltre ad essere stata insignita da Giorgio Napolitano del titolo Cavaliera al Merito della Repubblica italiana. La nomina è stata motivata in questo modo «per il coraggio, la determinazione, la dignità con cui ha reagito alle gravi conseguenze fisiche dell’ignobile aggressione subita. Il comportamento di Lucia Annibali costituisce un fermo invito a reagire e a guardare al futuro rivolto a tutte le donne vittime della violenza maschile». Si spende per le vittime di ustioni che in lei possono trovare coraggio e motivo di speranza.
L’Anno zero di Lucia non lo si augura a nessuno e la paura per quell’uomo che uscirà di prigione dopo aver scontato 20 anni di reclusione esiste. Ma Lucia è una sopravvissuta e la sua vita oggi è raccontarsi, anche nella Rubrica Con gli occhi di Lucia del magazine online Io donna. Quando decise di mostrarsi per la prima volta nelle pagine del Corriere della Sera a settembre 2013 lo fece anche con le parole delle lettere scritte in quei giorni: «Ho sperato e sopportato i dolori più intensi e le notti più buie. L’ho fatto per tornare alla vita. E in parte ci sono riuscita, ma la strada è ancora lunga. Sono grata a tutte le persone che ho incontrato, a chi ha avuto un pensiero per me, per aver reso incredibile il mio viaggio di ritorno… ogni giorno è un po’ più facile di quello precedente». La sua vicenda è un inno alla vita, al domani.