Sono 96 le donne uccise per femmicidio fino al 31 ottobre, per mano di uomini che conoscevano bene. Mogli, mamme, fidanzate, assassinate da chi credeva di possederle. È questo il dato che emerge dal report parziale del 2014 della ricerca condotta da Cristina Martini, ricercatrice di ProsMedia dal titolo “Uomini che odiano le donne. Come l’agenzia di stampa Ansa rappresenta i casi di femmicidio secondo la nazionalità dei protagonisti”, che verrà presentato il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza alle donne, in un incontro organizzato dalla Uil Veneto a Mestre, Venezia.
Dall’analisi dei dispacci dell’agenzia di stampa nazionale Ansa del 2014 si evince che vi sono stati 96 femminicidi in Italia, dal 1 gennaio al 31 ottobre 2014. Il tragico epilogo di una serie di soprusi e violenze perpetrati tra le mura domestiche è più presente nei paesi del Nord (38 casi) e a seguire il Centro (32); Sud e Isole vedono entrambi 13 casi. Tre sono i femmicidi avvenuti in Veneto, nelle province di Padova, Treviso e Verona. Non stupisce invece la trasversalità del fenomeno che colpisce donne di tutte le età, per la maggior parte nella fascia dai 31 ai 60 anni (44 su 96, il 46%). Per l’Organizzazione mondiale della sanità le donne fino ai 50 anni infatti muoiono più ad opera di persone dell’ambiente familiare che non per malattie o incidenti. Rispetto agli anni precedenti le vittime minorenni sono aumentate: fino al 31 ottobre 2014 sono 6.
Sono i mariti ad uccidere di più: 40 i casi (42%), ma anche figli, compagni, ex fidanzati e coinquilini. In 4 femmicidi sono i clienti a compiere l’atto criminoso, uccidendo 4 prostitute. Le armi sono nel 40% da taglio e quindi compatibili con la realtà domestica (coltelli): gli omicidi di genere avvengono spesso tra le mura di casa, dove la donna dovrebbe essere più sicura e trovare serenità.
Le donne italiane morte risultano essere 79 (l’82%) e le vittime straniere 17 (18%). Tra queste le nazionalità più ricorrenti sono rumena e ucraina, dati in linea con la fotografia emersa dal “Dossier Statistico Immigrazione – Rapporto Unar 2014, Dalle discriminazioni ai diritti” dove oltre la metà (51,1%) degli stranieri in Italia proviene da soli cinque paesi (Romania, Ucraina, Albania, Marocco e Cina). I colpevoli italiani sono il 71% (68 colpevoli), 16 sono stranieri (17%) e 12 non identificati (12%). Gli offender sono per la maggior parte rumeni e albanesi. Un dato molto interessante: dei 16 offender stranieri, il 68% hanno ucciso le loro fidanzate straniere e il rimanente 32% ha ucciso donne italiane, ma pur sempre loro compagne, anche di una vita.
Per il killer straniero le cause si cercano nella nazionalità: spesso il femmicidio è ricondotto a cause religiose e culturali, ponendo l’accento sulla diversità che li contraddistingue. Descritta a volte come “troppo permissiva”, la vittima straniera è succube del marito e delle tradizioni, una donna passiva uccisa dal colpevole perché “preoccupato della deriva occidentale della sua famiglia”. Se i protagonisti sono italiani, gli ambienti in cui avviene il delitto sono descritti come famiglie apparentemente normali, anche dalle parole dei vicini di casa e dei conoscenti, la cui serenità è interrotta dall’episodio violento.
Gli aggettivi che descrivono gli assassini e i verbi utilizzati negli omicidi differiscono molto in base alla nazionalità: il linguaggio è più crudo e colpevolizzante quando l’uomo assassino è straniero; più comprensivi e giustificanti quando a colpire è la mano di un killer italiano. Sono differenze meramente linguistiche, ma che allontanano sempre di più il “noi” dall’Altro, rinchiuso in una gabbia di stereotipi e pregiudizi, alimentati anche da chi viene intervistato dai giornalisti. L’attenzione di chi interviene sulla stampa, e quindi anche di chi legge, si sposta verso quella che viene vista e chiamata “emergenza stranieri” tralasciando così il vero problema: quello culturale e sociale che causa la violenza di genere.
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