Crimine e dis-crimine. Anche chi scrive di cronaca può compiere dei crimini, discriminando i soggetti coinvolti, attraverso l’uso improprio delle parole. Quest’ultime sono sempre importanti e possono creare stereotipi difficili da superare, soprattutto quando si affrontano temi importanti come l’immigrazione ed i migranti. Questo si evince dalla ricerca di Cristina Martini, del gruppo di analisi ProsMedia, dell’Università degli studi di Verona, dal titolo “La strada dei pregiudizi. Incidenti d’auto, guidatori italiani e stranieri nelle rappresentazioni della stampa”.
La fase iniziale della ricerca ha visto l’individuazione di un campione di due casi per cinque categorie di incidenti stradali: uno in cui il guidatore colpevole dell’incidente fosse italiano ed uno in cui questo fosse straniero. Le categorie: vittime straniere; vittime italiane; vittime bambini/giovani; guidatore ubriaco e strage stradale (più vittime). Per ogni evento delittuoso sono stati analizzati cinque articoli, prima con l’ausilio di un questionario costruito ad hoc per catalogare le caratteristiche dei protagonisti, e successivamente con Taltac2, software statistico per l’analisi lessico testuale, per studiarne il linguaggio.
È prassi consolidata accostare l’arrivo di migranti non regolari a fatti di cronaca nera e nella ricerca si è potuto verificare questo in tema di incidenti e pirateria stradale. La responsabilità del singolo viene generalizzata a tutta la comunità e viene fatto un collegamento tra l’avvenimento e l’origine etnica dell’autore. Nella stampa troviamo conferme: quando è coinvolto uno straniero, subito viene messa in primo piano la nazionalità. È il tratto distintivo della persona, che, alle volte, è l’unico elemento descritto, oltre all’età anagrafica. Sono corpi vuoti, non raccontati nelle loro storie, nei loro nomi. È romeno, perciò un delinquente e la nazionalità entra nella gerarchia delle cause dell’incidente.
Quasi sempre è proprio l’appartenenza etnica a rendere il fatto notiziabile: fatti che passerebbero in sordina diventano da prima pagina se è protagonista o coinvolto qualche straniero: il criminale ideale nell’immaginario collettivo. Quando il colpevole di un incidente è straniero, il fatto sembra più grave; c’è più tensione, il racconto è più drammatico ed infarcito di parole come “bastardo”, “sporchi zingari”, “non sanno far altro che ubriacarsi e rubare”. La rabbia della gente intervistata si trasferisce in modo inevitabile sul pubblico di lettori: è per questo che i giornalisti hanno una grande responsabilità nei confronti dei fruitori dell’informazione; la diffusione e la conferma di pregiudizi e stereotipi dipende con forza dal loro operato, più o meno parziale e più o meno corretto. A fare notizia è sempre lo straniero ubriaco o drogato che provoca un incidente dove le vittime o i coinvolti sono italiani. Se entrambi sono stranieri, la notizia poco interessa al pubblico. Se entrambi sono italiani troviamo articoli di poche righe, dove il colpevole si giustifica in stato di shock e dove si piange la vittima.
Quando il guidatore colpevole è straniero non viene mai giustificato e viene preso di mira non solo dai testimoni che tentano il linciaggio, ma anche dalle parole dei giornalisti che concentrano le righe dell’articolo a parlare dell’incoscienza dell’autista, del fatto che fosse in compagnia di connazionali, di quanto la gente sia “inferocita”. Si espongono dettagli poco rilevanti al fine dell’incidente, come l’alcool test positivo di uno straniero, la cui unica colpa (oltre alla nazionalità) è di essere stato nell’auto del colpevole al momento dello scontro.
Se l’autore del reato è italiano e la vittima è straniera, ricompare lo stato di shock del colpevole: il fatto viene descritto come una morte inevitabile, un bambino “sbucato dietro una palla”, una “partitella di calcio finita in tragedia”, come se la colpa fosse della vittima. La fuga dell’autista non è seguita da linciaggi né di testimoni, né mediatici; a chiudere la vicenda in poche righe ci pensano i giornalisti sentenziando che “probabilmente, anche se si fosse fermata, non sarebbe servito per salvare la vita del bimbo”. Dove ci sono guidatori italiani, soprattutto nella strage stradale, sembrano fatti compiuti da auto, non da persone. Sono le vetture a scontrarsi, a falciare, a provocare l’incidente. Auto che sembrano guidate da nessuno: è la Mercedes che uccide, la Stilo che si scontra con una Mitsubishi, non la persona. Il colpevole è messo al riparo dalla gogna mediatica, quasi protetto, nascosto e giustificato.
Diverse anche le citazioni che compaiono negli articoli: se si tratta di vittime italiane, vengono dipinte nella loro quotidianità, descrivendone passioni e particolari che possano intenerire come “Anna, mamma buona, non vedeva mai il male e perdonava sempre” e che provochino nel lettore un senso di rabbia e di rifiuto verso il colpevole straniero. Le reazioni dei parenti delle vittime sono opposte: i parenti di vittime italiane sono descritti “composti nel loro dolore”, non lasciano spazio all’odio, sono in grado di “spendere parole di umanità” e si affidano al lavoro delle forze dell’ordine e degli inquirenti.
I parenti stranieri invece “urlano”, “gridano”, sono spaventati e chiedono giustizia con quella disperazione che li mostra rabbiosi e quindi pericolosi; in poche parole. I politici intervistati sono moderati se il colpevole è italiano: intervengono per portare alla luce i problemi della sicurezza stradale, quali la scarsa illuminazione e la mancanza di piste ciclabili. Se il colpevole è straniero non c’è spazio per la moderazione: in uno degli articoli è un esponente di Forza Nuova ad intervenire per primo, parlando di “emergenza rom”; l’attenzione è spostata sui campi abusivi, sulla tendenza al furto ed all’assunzione di alcool e sostanze stupefacenti, sui centri di permanenza temporanea, sulla presenza ancora in Italia di stranieri che hanno ricevuto provvedimenti di espulsione. C’è un appunto da fare anche su come vengono raccontati i fatti: quest’ultimi sono spiegati con molti dettagli tecnici e con massima professionalità, un racconto quasi oggettivo. Se è coinvolto uno straniero, diventa un racconto ricco di elementi poco oggettivi, di avverbi, aggettivi, frasi di contorno poco rilevanti: il colpevole ed il suo comportamento riempiono quasi tutte le righe della notizia, lasciando poco spazio (se non quasi nulla) per le vittime.
È l’esaltazione delle differenze, la fabbrica della paura, degli allarmi, delle emergenze, della rabbia e dei pregiudizi. Riscoprire le storie, i pensieri, la cultura. Dare voce a chi non ha la possibilità di raccontarsi e dare la propria testimonianza, perché può rappresentare un arricchimento.