“Il tema della migrazione torni all’attenzione del Parlamento”. Lo ha dichiarato Laura Boldrini, ex portavoce dell’Onu per i rifugiati e oggi candidata nelle liste di Sinistra Ecologia Libertà per le prossime politiche, in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che ricorre il 14 gennaio. “Si parta con la riforma della legge sulla cittadinanza”, ha proseguito Boldrini, «in modo da consentire l’inclusione di chi nasce, vive, studia e lavora in Italia. Ma va modificato anche l’intero impianto della normativa in materia di immigrazione, basato sulla criminalizzazione dei migranti”.
La richiesta di Laura Boldrini sul tema immigrazione è sacrosanta. Il problema che ci dobbiamo porre come giornalisti e come studiosi dei media è di non ricadere ancora in un tipo di informazione pregiudiziale e discriminatoria. A preoccupare non sono tanto i soliti giornali che sono al servizio del politico di turno e che supportano il lavoro degli “imprenditori della paura” e dei razzisti. Preoccupano i giornali, qualcuno anche “progressista”, che sfruttano notizie incontrollate, posizioni discriminatorie e letture superficiali per tentare di fare audience. Un’audience sulla pelle degli immigrati e dello “straniero”, rinunciando al giornalismo interculturale.
La “Carta di Roma” resta per noi giornalisti un punto di riferimento imprescindibile quando parliamo di immigrazione e di persone immigrate. Dobbiamo essere attenti e scrupolosi nella scelta delle parole, nel trattamento dei temi, nel nostro aggiornamento come professionisti. Dobbiamo stare attenti anche a non farci fagocitare dalla fretta e dalle solite routines professionali. La superficialità e l’inevitabile distorsione, verso cui certo giornalismo tende a portarci, non sono alibi credibili.
Come giornalisti non possiamo nasconderci dietro paraventi deboli per non ammettere che abdichiamo al nostro lavoro di “mediatori” fra la realtà dei fatti (o fra le agenzie, i testimoni e i colleghi che ce li raccontano) e il lettore. A questo proposito, l’insegnamento di Sergio Lepri (Professione giornalista) sul nostro ruolo di intermediari, a cui non possiamo/dobbiamo rinunciare, è quanto mai attuale. E’ un insegnamento, come dimostra la “Carta di Roma”, che vale anche e soprattutto nella società multiculturale.
Rinunciare al nostro compito di mediazione e violare la “Carta di Roma” – il protocollo deontologico dei giornalisti – significa condannare la nostra professione a non essere necessaria. Invece, nell’era digitale, dei new media che spingono le notizie sulla pista più rapida di accelerazione, è importante un atteggiamento professionale corretto: correttezza nell’uso delle parole (migrante, rifugiato, vittima della tratta, richiedente asilo) e disponibilità a mettere in pratica un giornalismo che sia interculturale.