La strage di Denver, in Colorado, ripropone il ricorrente tema del rapporto fra media e violenza. Un giovane, James Holmes, travestito da “Flagello”, il cattivo della saga cinematografica di Batman, entra nella sala di proiezione, fra la gente vestita come i personaggi del film, e si mette a sparare e a seminare morte. Quanto il messaggio mediale ha influito sull’autore della carneficina.
Diciamo innanzi tutto che – secondo le categorie della Psicologia Investigativa del professore inglese David Canter – Holmes sembra impersonare la figura dell’eroe. Ovvero di colui che compie la grande impresa della sua vita: identificarsi col cattivo della finzione cinematografica e avere un posto nella Storia. Un posto come eroe crudele e cattivo.
Che ruolo hanno i media in questa costruzione dell’eroe nella mente del giovane killer del Colorado? Secondo la teoria degli effetti limitati, non basta rappresentare la violenza nei media per indurre gli spettatori a diventare violenti. Ogni messaggio viene mediato dalla personalità, dalle relazioni socio-culturali, dallo status sociale, dalla cultura dello spettatore.
A questo va aggiunto, che oggi dobbiamo parlare di media a 360 gradi, comprendendo sia i media tradizionali (radio, tv, stampa, cinema) sia i nuovi media “relazionali” (i social media, per intenderci: da Facebook a Youtube).
Lo studioso Joseph Klapper (1959) distingue, nei media, un effetto di rafforzamento da un effetto di conversione. Nel primo caso, l’attore – sotto l’effetto dei media – cambia completamente il suo comportamento, vale a dire si converte. Nel secondo caso, l’effetto della comunicazione è quello di rafforzare atteggiamenti e comportamenti già esistenti nella mente dell’attore: atteggiamenti e comportamenti a cui era predisposto. In sostanza, i media rafforzerebbero convinzioni preesistenti ma difficilmente farebbero cambiare agli individui le proprie convinzioni, non in maniera radicale. L’effetto di conversione si verificherebbe solo in casi molto particolari.
Il problema della violenza nei media è allora quello di attivare o rafforzare spinte interiori o progetti personali di violenza. Detto così, sembrerebbe facile trovare una soluzione: basta ridurre il livello di violenza nei media. Una proposta nobile, specie se si dovesse accompagnare a un aumento della qualità culturale e artistica (bassa) di molti contenuti dei media.
Una proposta di difficile attuazione, specie nell’era della comunicazione globale e dei nuovi media di massa. Una soluzione più efficace è quella dell’educazione ai media: dell’insegnare a distinguere fra sentimenti indotti dai media e sentimenti personali autentici, fra quanto ci viene proposto dall’esterno e quanto è nella nostra anima. Saper smontare il meccanismo sottilmente persuasivo dei media è il primo passo per non diventare degli emulatori del “cattivo” dei film. Non saremo immuni da influenze e sollecitazioni, ma ne saremo almeno consapevoli.
Foto Il Post