Nel giornalismo quando si parla di immigrazione ci sono dieci comandamenti. Non promesse da realizzare, ma trappole da evitare. Ne ha parlato a metà aprile Mauro Valeri, responsabile dell’Osservatorio su razzismo e antirazzismo nel calcio, durante il seminario di formazione “Sgomberiamoli!”, promosso dall’agenzia Redattore Sociale.
Ecco le dieci cose da evitare, e qualche consiglio:
- L’uso del termine razza. Non bisogna tanto stare attenti alla parola, quanto ai significati che si porta dietro;
- La deumanizzazione che avviene ogni volta che, per esempio, si paragonano gli uomini ad animali, come le “antilopi” nell’atletica leggera;
- I pregiudizi positivi, come quello in base a cui i neri hanno il ritmo nel sangue;
- I numeri che nell’immigrazione sono complicatissimi;
- Il legare i fatti tra loro, perché non tutte le variabili sono significative, ma molte sono casuali;
- L’abitudine di parlare di immigrazione in termini di solidarietà, più che di diritti;
- Il capro espiatorio, generalmente debole e invisibile;
- La discriminazione indiretta, cioè la condotta razzista che in molti casi non è riconosciuta come tale;
- Evidenziare troppo le differenze. Meglio soffermarsi di più sulle similitudini;
- Meglio ragionare in termini di meticciato, raccontando le molteplicità dell’identità.